Vicino, adesso, fortissimo. No.
Sono stata fuori a cena, con degli amici.
Ero contenta, dopo una bella serata, di tornare verso la fermata dell’autobus a piedi, l’aria finalmente tiepida, la giacca leggera, la sciarpa di cotone.
Mando un messaggio su whatsapp al mio ragazzo, per dirgli che era andato tutto bene e che stavo tornando verso casa. Mi risponde “Tragedia a Boston. Bombe alla maratona, un disastro”.
Apro il sito di Repubblica. Apro il sito del Corriere. Mi collego a twitter.
Leggo annichilita.
Leggo la notizia, poi i commenti, lo sdegno, le reazioni, le battute, i confronti, le preghiere.
Sto bene attenta a non aprire nessun link. Non voglio vedere nessuna immagine. Non mentre sono per strada, o su bus.
Penso “non è così che voglio avere queste notizie”.
Ripenso all’11 Settembre, alla telefonata: “Accendi la tv, è successo qualcosa a NY”. E poi le mie telefonate, ai miei in ufficio, a chi poteva non sapere. “Accendi il tg, subito, è successo un casino a NY”.
Come se ci fosse un briciolo in più di spazio, una breve zona di ignoranza e di protezione. Accendi, e immagini già che stai per vedere qualcosa di orribile. Sei preparato.
Così no. Tutto veloce, rapido. Immagini terribili nelle TL. Nessuna “figura autorevole” preposta a dare la notizia, tutti contemporaneamente ne parlano, in modi e toni che feriscono.
Sull’autobus con me ci sono 3 persone, compreso il conducente.
Non sanno niente, hanno la mia faccia di quando camminavo in corso Sempione verso la fermata.
Dovrei dirglielo.
Hanno fatto esplodere delle bombe alla maratona di Boston, c’è un disastro, una tragedia.
Come fanno a non saperlo? Glielo devo dire?
Poi no. Ho continuato a leggere sul mio smartphone. Facendo lo slalom per non aprire immagini e video. Cercando di non arrabbiarmi con chi “esorcizzava” l’orrore facendo del sarcasmo completamente fuori luogo.
Però niente. Non ho detto niente. Lo sapranno a casa, se accenderanno su un tg. Oppure domani, leggendo i giornali.
Non è questo il modo di ricevere o dare certe notizie.
E dobbiamo cercare di trovare un nuovo ritmo per metabolizzare, o un nuovo spazio per ricevere notizie così. Perché non si può vivere sempre in guardia. Forse questo modo di essere così connessi annulla davvero le distanze, azzera i tempi, elimina l’intermediazione a cui siamo abituati. E forse davvero ricevere una notizia così in questo modo diventa ancora più doloroso, e sconvolgente, e vicino. Difficile da gestire emotivamente. Molto difficile.
Rispondi