Una cosa vorrei dirla anche io

La più schifosa delle derive prese dal dibattito sui fatti di Parigi della settimana scorsa è quella che partendo da “Je suis Charlie”, passando per il “No, io non sono Charlie” e “Io non sono Charlie ma sono comunque più Charlie di te”, arriva alla totale trasfigurazione del concetto di libertà di opinione.

Delle persone sono state ammazzate mentre facevano il loro lavoro. Ammazzate.
Delle persone sono state ammazzate perché il loro lavoro consisteva nel fare satira. La satira è qualcosa di bellissimo perché vince sempre. La satira non deve far ridere: deve far pensare. Vedi un articolo o una vignetta satirica che mette allo sbaraglio un simbolo del potere. O ti fa sogghignare amaramente (e allora la satira ha vinto), o ti fa incazzare perché tocca qualche nervo scoperto (e guarda: allora la satira ha vinto di nuovo). Supponiamo che tu faccia parte di quelli che si incazzano. Prendere un fucile e ammazzare delle persone non è un’opzione. O almeno, non dovrebbe esserlo.

E qui sta secondo me il punto centrale che la deriva del dibattito sta tristemente mancando. In una società civile esistono tutti gli strumenti per difendersi da offese, diffamazioni e calunnie, senza che l’onta debba essere lavata nel sangue.
Non so, scrivo questa cosa che non ha nulla a che vedere con i fatti nello specifico né con lo scontro di civiltà né tantomeno con le interpretazioni geopolitiche del caso perché mi sta montando uno schifo gigante. Mi monta lo schifo gigante perché grazie all’impatto emotivo di quello che è successo a Parigi vedo un sacco di persone schierarsi per il diritto di espressione senza se e senza ma. Dimenticandosi però una cosa.
Hai diritto di esprimere la tua opinione tanto quanto il dovere di assumertene la responsabilità.
Vuoi spalare merda su chiunque? Accomodati. Però poi non ti stupire se ti arriva una querela. Perché è esattamente quella querela che ti permette di dire quello che ti pare. Perché è esattamente quella querela che consente al bersaglio dei tuoi strali di difendere la propria persona o la propria idea senza imbracciare un fucile per farti fuori.
“Ho la libertà d’espressione, posso dire quello che voglio!”
Certo. Finché sei pronto ad assumerti responsabilità e conseguenze di quello che hai detto.
“Mi hanno querelato, non c’è libertà di espressione! Censura! Censura!”
No, cretino. La querela è proprio l’esatta emanazione di una società civile che dà a te il diritto di dire quello che vuoi e agli altri il diritto di replicare e difendersi.

Se scrivi la tua opinione io non posso risponderti con la mia perché “e allora Charlie”?
Se mi prendi un po’ in giro e io non ho nessun senso dell’umorismo non posso risentirmi perché “e allora Charlie”?
Se scrivi legittimamente la tua opinione che però in qualche modo mi danneggia io non posso querelarti perché “e allora Charlie”?
E se non si ha il buon gusto di comprendere che è imbarazzante paragonare le proprie beghe a una tragedia in cui delle persone sono state ammazzate almeno si dovrebbero avere gli strumenti per comprendere la differenza tra un avvocato e un mitra.

Lo schifo gigante che mi monta dentro è dovuto a tutti quelli che stanno prendendo a pretesto un fatto gravissimo e doloroso come quello di Parigi per piegarlo come un origami e farlo stare nella minuscola tasca del loro vestito. Prendono un concetto fondamentale come il diritto di esprimere la propria opinione e lo rendono zoppo, ignorando il dovere di assumersi la responsabilità di quell’opinione e proclamano come censorio il diritto di difendersi legalmente. Uscendo dall’equilibrio di questi diritti contrapposti e vitali l’uno all’altro si esce dal quella bella civiltà sbandierata inutilmente. E fuori dal diritto, guarda un po’, vale tutto: anche ammazzare chi non la pensa come noi.

 

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