Storia vera del mio nome

Prima di nascere, quando ancora stavo felice a galleggiare nella pancia della mia mamma, il mio nome era Sara.
Mi scuso con chi mi conosce perché probabilmente mi avrà già sentita raccontare questa storia, ma prometto che oggi aggiungerò dettagli nuovi.
Ho ancora in qualche scatola da qualche parte a casa dei miei genitori le letterine delle amiche di mia mamma che mi scrivevano “Piccola Sara, non vediamo l’ora di conoscerti”, “Ciao Sara, qui fuori è un brutto mondo ma ci sono tante persone che ti aspettano e già ti vogliono bene”, etc etc. Bavaglini rosa con SARA ricamato a punto croce.
Poi sono nata e il mio nome non è più stato Sara, sono diventata Valentina.
Quando ho trovato le letterine e ho chiesto a mia mamma chi fosse questa Sara lei mi ha raccontato tutta la storia, giustificando il cambiamento di nome con le 36 ore di travaglio che le ho fatto subire. “Eh, quanto ci mette a nascere questa bambina, è lenta lenta, va lentina”. Così. Questa insieme a quella dell’ostetrica che esortava mia mamma dicendo “signora, si sbrighi, è quasi finito il turno, devo andare a mangiare la pasta con le vongole” è una delle tante leggende che circondano la mia nascita.
Come in tutte le leggende potrebbe esserci un fondo di verità, ma il più è ricamo umoristico. La vera ragione per cui mi chiamo Valentina è un’altra, e ora ve la racconto.

Quando ero in seconda elementare la maestra ci ha assegnato il più classico dei temi: “Cosa vuoi fare da grande?”
Io ho scritto mezza pagina di foglio protocollo a righe grandi su come mi sarebbe piaciuto da grande diventare un’infermiera, per curare le persone malate, portare conforto e farle guarire.
“Meno male” ha commentato mia mamma.
“Cosa meno male?” le ho chiesto io.
“Meno male che vuoi fare l’infermiera, e non l’attrice o la ballerina o la cantante” mi ha risposto sorridendo.
In quel momento ho realizzato con terrore che avevo sprecato l’occasione di sognare veramente in grande, di pensare a cosa sarei potuta diventare e metterlo nero su bianco, sulla carta. Non avevo mai pensato che avrei potuto diventare un’attrice bellissima. Non avevo mai immaginato di poter diventare una leggiadra ballerina. Non avrei mai nemmeno sperato di poter diventare una cantante.
Al massimo qualche volta avevo vagheggiato sulle possibilità di diventare un’astronauta, quello sì: mi sarebbe proprio piaciuto, era un bel lavoro alla mia portata. Ma in fondo l’infermiera mi era parsa una scelta meno egocentrica, dai risvolti sociali più interessanti.

In agosto a 1800 metri di altezza, sulle Alpi, lontano dall’inquinamento luminoso ci sono infinite più stelle di quante ce ne siano a Milano.
“Non ti sembra di poter cadere verso l’alto, come quando sali e guardi giù e ti viene una vertigine però all’incontrario?” chiedevo al mio papà, di notte, il naso freddo girato verso il cielo.
Lui mi faceva vedere Orione, l’Orsa, e allenava la fantasia del mio cervello di bambina con concetti elastici, come l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, i paradossi della geometria euclidea, le forme e i numeri che diventavano idee impossibili da esprimere se non con l’immenso stupore di una bocca spalancata in uno zero di meraviglia.

Mio cugino si chiama Jury. È nato un anno dopo di me e siamo praticamente cresciuti insieme. Prima di lui l’unico altro Jury della storia (mia personale e mondiale allo stesso modo) è stato Jury Gagarin, il primo uomo a viaggiare nello Spazio. Io ho sempre saputo, anche se nessuno me lo ha confermato, che io mi chiamo Valentina esattamente per lo stesso motivo: la prima donna a viaggiare nello Spazio è stata Valentina Tereshkova.

Non ho mai pensato che la possibilità di fare da grande l’astronauta fosse un sogno irrealizzabile. Mai. È sempre stata una delle mie scelte principali fin quando perdendo completamente il pragmatismo dell’infanzia ho deciso invece di diventare una pianista classica. Ho sempre tenuto però un pezzettino di cuore libero per le stelle, dedicando loro i miei studi paralleli in filosofia della scienza e ogni notte di ogni estate. Ho sempre saputo da dove viene il mio nome.

 

(Tutto ciò ovviamente inizia e finisce con Samantha Cristoforetti che è nata lo stesso aprile di pochissimi anni prima di me e che davvero adesso è in mezzo alle stelle e chissà se le vengono le vertigini per dritto o per rovescio a guardare giù dove siamo noi. Qui potete leggere il suo diario)

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photo credit: Skiwalker79 via photopin cc

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