Sorridi!

Episodio 1
Domenica mattina. Ho circa 20 anni. Sono in piazzale Bacone, attraverso la strada per andare a prendere la metropolitana e andare al pranzo della domenica dai miei genitori dopo aver dormito dal mio ragazzo. Un’auto accosta, finestrino abbassato. Il conducente mi chiede da che parte deve girare per arrivare a Porta Venezia. Mi chino per guardare nell’abitacolo mentre rispondo e vedo che ha i pantaloni della tuta abbassati, il cazzo in mano e mi sorride compiaciuto.
Episodio 2
Notte tardi, infrasettimanale, ho circa 20 anni. Sono alla stazione della metropolitana di Precotto in attesa dell’ultima metropolitana verso Molino Dorino, torno a casa dopo una serata agli Arcimboldi dove lavoro come maschera. Un uomo si mette di fianco a me sulla banchina vuota. Mi scosto di qualche passo, metto i capelli dietro alle orecchie per far vedere bene che ho le cuffiette dell’ipod – segno internazionale del “non parlarmi, non ti sento e non ti voglio sentire”. Fisso un punto indefinito sul linoleum tra la punta delle mie scarpe e la riga gialla, ma vedo con la coda dell’occhio che l’uomo si è di nuovo avvicinato, si sporge in avanti come come volermi guardare in faccia, poi mi fa segno con la mano. “Lavori in teatro, vero?” mi chiede. Annuisco e torno a guardare per terra. “Anche io, sono in orchestra, ti vedo spesso in mensa. Da che parte vai? Vuoi che facciamo la strada insieme?”.
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Il protagonista del primo episodio è un poveretto maniaco schifoso. Il secondo si è poi rivelato una persona deliziosa (siamo diventati poi amici e abbiamo anche fatto una vacanza insieme) mossa dalle migliori intenzioni. Nel mezzo tra questi due estremi c’è tutta la variegata tassonomia di sorrisi, fischi, mani appoggiate sul culo in metropolitana, complimenti urlati, sguardi, inseguimenti, fotografie scattate “di nascosto” col telefono sul treno, inviti a sorridere e complimenti alla mamma con cui ogni giorno ogni donna o ragazza convive dal momento in cui mette piede fuori di casa.
Hollaback! è un movimento che si prefigge di fermare le molestie in strada, qui trovate il sito italiano. In questo momento sta svolgendo un’indagine in collaborazione con la Cornell University per mappare a livello internazionale le modalità con cui si manifestano le molestie in strada e il loro impatto sulle persone coinvolte. Questo è il link per partecipare all’indagine compilando un questionario anonimo online: fatelo. Fatelo tutti: donne e uomini.
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Io mi ritengo una persona equilibrata e non particolarmente paurosa né influenzabile. Prendo i mezzi pubblici anche di notte, viaggio all’estero da sola, me la cavo su un sacco di cose. Ho iniziato a rispondere alle domande facendo mente locale e mi sono sorpresa di quanto invece questo tipo di molestie abbia influenzato molte mie scelte e di fatto abbia posto grandissime limitazioni alla mia libertà personale. Come donna ho talmente introiettato il principio che beh, insomma, alcune cose è inevitabile che almeno una volta nella vita ti succedano, chessarammai che non mi sono mai soffermata a riflettere su queste limitazioni. Che ovviamente sono limitazioni autoimposte, un po’ come quando per quieto vivere ci mordiamo la lingua durante il pranzo di Natale per evitare di sollevare una discussione sgradevole con il parente fastidioso ma che hanno conseguenze ben più grosse.
Un esempio spiccio.
“Hai mai modificato il percorso per andare da A a B per evitare alcune zone?” Risposta: quasi ogni giorno. Questo vuol dire che io quasi ogni giorno NON HO LA LIBERTÀ di muovermi. O meglio: ho la libertà di scegliere come muovermi in sicurezza scegliendo strade più lunghe o tortuose per istinto di autoconservazione. Amici maschi (possibilmente caucasici e eterosessuali), confermate che anche a voi capita? E confermate che vi capita pochissime volte all’anno o nella vita e solo in situazioni particolari? Provate a pensare che c’è chi lo fa OGNI GIORNO (tipo, beh, io). E che questo è talmente diventato una seconda natura che nemmeno me ne rendo conto se non fermandomi davanti a un questionario con caselline da riempire che mi costringe a pensarci onestamente e dirmi “oh, sei molto meno tosta di quello che ti credi, bellina”.
Facendo questo questionario ho scoperto che sono ASSOLUTAMENTE LIBERA di andare dove voglio. Purché scelga la strada più sicura, mi ricordi alla mattina di indossare jeans e scarpe da ginnastica (o di portarmi un cambio in ufficio se serve che vada in una riunione vestita da signorina – ehi! Ai miei colleghi maschi però non è richiesto di vestirsi da signorini!), stando attenta a guardare in basso e evitando di incrociare lo sguardo di chi incontro, tirando dritto e possibilmente indossando cuffie vistose per avere un alibi se qualcuno mi interpella e non rispondere.
Davvero, fatelo questo questionario. Chiunque siate. E poi se volete ditemi come vi siete sentiti, e se avete fatto delle scoperte (in attesa dei risultati che arriveranno in gennaio).
E poi c’è questo video. Sono assertiva quindi di nuovo vi dico: guardatelo.
Visto? Ecco.
Oggi girava molto su facebook e ho letto tantissimi commenti del tipo “ma sono solo complimenti, ma che problema c’è, ma queste non sono molestie, ma che esagerazione”.
Il fatto è che nessuna donna o ragazza (o persona, per quanto mi riguarda, ma adesso il punto è “donna o ragazza”) cammina per strada per la gioia degli occhi dei passanti. A nessuna importa degli apprezzamenti di uno sconosciuto. A tutte fanno piacere i complimenti degli amici, del moroso e della mamma. Se non rientrate in queste categorie ma in quella di “passante sconosciuto” non avete nessun titolo per fare complimenti, non siete nessuno, la vostra opinione non è richiesta.
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“Ma ti ho solo salutato, perché non mi rispondi?”
Non ti rispondo perché non è il mio mestiere, perché non ti conosco, perché non mi interessa salutarti come non dovrebbe interessare a te salutarmi.
Perché il tuo saluto non è un onesto augurio di una bella giornata, è un modo per farmi rendere conto della tua presenza e del fatto che condividiamo uno spazio. Per farmi accorgere che tu (che sei di media alto 20 cm più di me e pesi di media 20 kg più di me) mi hai notata, che questo non è più il marciapiede di una strada di città ma il piano di una relazione di cui tu hai il controllo e per cui ti aspetti una reazione come se ti sia dovuta.
Non ti rispondo perché magari ho avuto una giornata di merda, perché in ufficio la promozione che mi spettava è stata data a un mio collega maschio, o perché sono appena stata dal ginecologo per un controllo e mi ha ricordato che se volessi avere figli forse è il caso che ci pensi seriamente perché il tempo inizia a stringere, o forse perché sono in ritardo per andare a ritirare mio figlio all’asilo, o forse non ti rispondo perché sono appena uscita da un ospedale dopo aver passato tre ore ad accudire un parente anziano ricoverato, o non ti rispondo perché sto facendo mentalmente la lista della spesa o sto pensando a come rispondere a una email importante, o forse perché mi fanno male le scarpe e l’elastico del reggiseno mi pizzica la pelle.
Non ti rispondo perché ci sono già abbastanza cose da cui mi devo difendere e contro cui devo corazzarmi e almeno mentre cammino per strada pensando ai fatti miei ho il diritto di non farmi carico del tuo egocentrismo e della tua necessità di affermarti mettendomi a disagio.
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L’immagine è una bellissima maglietta con illustrazione di Gina Tron, acquistabile qui
AGGIORNAMENTO:
– mi segnalano questo articolo sugli sviluppi delle reazioni al video. Ma certo, sono solo complimenti.
– per gli amici maschi, questo è un articolo molto completo che consiglio spassionatamente a tutti. Avrebbe aiutato molto ad esempio nella situazione dell’episodio 2.
Brava!
Io questo lo capisco, e mi vergogno di far parte del genere maschile quando vedo certe cose. Però: parole del genere sembrano dire che agli sconosciuti *non si rivolge la parola*, mai, e in particolar modo se di sesso femminile.
Io, da ragazzo timido ed estremamente rispettoso degli altri (quantomeno ci provo), a volte avrei voluto presentarmi a qualcuno, a qualcuna, e la paura di giudizi del genere mi ha sempre fatto desistere. Ma è un’azione dettata dalla paura. E se lo facessi, con tutte le migliori intenzioni del caso, anche la reazione potrebbe essere dettata dalla paura, o peggio ancora dall’abitudine.
Come fai giustamente notare, ci sono casi e casi. E in tutte queste discussioni non si arriva mai a parlare della gente “come me”. C’è un modo “giusto” di approcciare una ragazza o dobbiamo adattarci a conoscere solo quelle che ci presentano gli altri? E se questo modo c’è, qual è?
Hai ragione. Sarò di nuovo assertiva e diretta e sgradevole: non è un problema delle donne rispondere a questa domanda e trovare una soluzione. È un problema, sicuramente. Ma è un problema degli uomini “come te”, che subiscono in maniera speculare la situazione, e la risposta può e deve essere solo maschile. C’è un modo giusto: è quello di rivolgersi a una ragazza come ti rivolgeresti a un ragazzo, a un’anziana signora, a un uomo di 50 anni: con il rispetto e riconoscendo il contesto. E riconoscendo che fa parte del contesto anche la paura (vedi il mio secondo esempio): non si può ignorare che questi siano i dati di fatto e che creino un pregiudizio e un timore di fondo che non sono del tutto ingiustificati.
Ti rimando all’articolo di Zaron Burnett che ho linkato in fondo, credo sia davvero un’ottima lettura – da uomo a uomo – anche sul tema che sollevi, come riassunto in questi due paragrafi (ma davvero, leggilo tutto e dimmi cosa ne pensi).
“That’s why I go out of my way to use clear body language and act in a way that helps minimize a woman’s fear and any related feelings. I recommend you do the same. It’s seriously, like, the least any man can do in public to make women feel more comfortable in the world we share. Just be considerate of her and her space.
You may think it’s unfair that we have to counteract and adjust ourselves for the ill behavior of other men. You know what? You’re right. It is unfair. Is that the fault of women? Or is it the fault of the men who act abysmally and make the rest of us look bad? If issues of fairness bother you, get mad at the men who make you and your actions appear questionable.”
Beh che dire? Hai detto tutto tu e molto bene… E questo spiega il malessere che certi maschi (tipo io) hanno del loro essere maschi. E’ come avere una responsabilità sul groppone per cose che non ti appartengono affatto ma che marchiano a fuoco la tua “categoria” di appartenenza. E questa è una brutta sensazione che io personalmente mi vivo da sempre. Mi ha fatto piacere leggerti perchè penso che un bel po di gente, maschietti e femminucce, leggendoti capiranno meglio il tuo (ed anche il mio, concedimelo) disappunto. Brava.
🙂
Confesso candidamente che la prima volta che ho sentito parlare di molestie e poi di “rape culture”, è stato 15 anni fa guardando per la prima volta Law and Order SVU. Naturalmente è passata molta acqua sotto i ponti da allora, molto si è provato a fare sul piano dell’informazione e della sensibilizzazione, ma ho come l’impressione che le cose non vadano molto meglio.
Ho fatto il questionario, ho letto l’articolo di Burnett e lo condivido in larga parte ma francamente non credo ci sia un solo modo di approcciare la questione. E’ talmente forte l’influenza culturale di una certa immagine femminile in tv e sui media che (salvo cambiare approccio radicalmente) non sarà facile modificare i comportamenti collettivi.
Dal mio punto di vista maschile, non ho mai subito una molestia vera e propria, certo qualche commentino fuori luogo l’ho ascoltato, ma nulla che mi abbia mai turbato.
Ho assistito negli anni invece ad un largo campionario di “approcci” a ragazze, come quelli rappresentati nel video, li ho visti a Berlino, a Marsiglia, in Spagna, in Repubblica Ceca, e in Italia indifferentemente a Torino, Milano, Roma e Napoli. Questo ti fa riflettere indubbiamente su quanto sia diffuso. E se per esempio a Napoli è un comportamento diffuso prevalentemente tra gruppetti di ragazzini di 12-13 anni (non è che sia meglio, ma in genere sono in pieno giorno in strade affollate), a Roma e Milano ho assistito a commenti più o meno deprecabili da parte di persone apparentemente non temibili, di quelle che se le incontri in metro la sera non ti creano troppe ansie. Non voglio star qui a fare un trattato di sociologia, voglio solo dire che è una mentalità trasversale nella popolazione, che coinvolge lo stimato professionista come l’operaio con la terza media.
Ma come si fa a cambiarlo senza mettere mano al flusso di informazioni, messaggi e immagini che ci bombardano ogni giorno?
Andrea grazie per il tuo commento, grazie davvero.
È assolutamente vero quello che dici, che il problema è complesso e che ci sono tanti livelli su cui bisognerebbe agire. Però il modo migliore, per iniziare, è esattamente questo: quello che hai fatto tu scrivendo questo commento. Prendere coscienza, ascoltare, chiedere un confronto aperto e empatico. E condividere il proprio punto di vista. Smettere di prevaricare, abbracciare la complessità della situazione e iniziando dal proprio piccolo farsi testimoni di un possibile miglioramento.
Mi è sembrato lo spazio giusto per farlo. Come te, ho letto anche io i commenti alla notizia del video su facebook e mi è sembrato tutto grottesco, surreale. Vero è che spesso dietro a certi commenti ci sono leoni da tastiera, ma la quantità di persone che sminuiscono i fatti è tale da togliere ogni dubbio sul fatto che sia un problema molestie da affrontare. Perché se non capiamo limiti e confini delle interazioni con gli altri, è inevitabile prima o poi superarli quei limiti. E tanti, troppi, sono i commenti anche femminili che non percepiscono quei comportamenti come border line.
C’è bisogno di una riflessione aperta, di un confronto e di una presa di coscienza condivisa su come sia giusto interagire con gli altri. Sono certo che se tutti, o comunque la maggioranza arriveranno a trovare questo equilibrio, per tutti diventerà anche più semplice entrare in relazione con gli altri, trovando i luoghi, i modi, le parole e i gesti corretti per farlo.