Rachel Joyce, i dialoghi e i silenzi

Fare interviste probabilmente non è il mio mestiere.
Non so se valga la scusante della prima volta, ma oggi ero agitata, inappetente e in anticipo imbarazzante sul luogo dell’appuntamento, che era un delizioso café sulla via principale di Stroud.

Rachel Joyce mi è venuta incontro sorridendo: non so come abbia fatto a riconoscermi, o forse l’ho riconosciuta prima io. Fatto sta che tutta l’agitazione e l’imbarazzo mi sono passati in un attimo, e ci siamo ritrovate in un tavolino accanto alla finestra a parlare di Harold.

Fare interviste probabilmente non è il mio mestiere: abbiamo parlato per più di un’ora del libro, dei suoi personaggi, del mio viaggio di cui ha voluto sapere ogni dettaglio e per  la cui prosecuzione mi ha dato suggerimenti preziosi. Parlando dei temi cardinali del libro mi sono commossa, come spesso accade. Mi sono scusata, e lei di nuovo ha sorriso, luminosa: “non ti preoccupare, potrei iniziare a piangere anche io da un momento all’altro”. Ho dimenticato di registrare la maggior parte della nostra chiacchierata. Ho scordato di fare qualche foto in più.

Qui di seguito ci sono alcune delle cose che ci siamo dette, a proposito di Harold Fry e del suo imprevedibile viaggio. Fare interviste probabilmente non è il mio mestiere, ma se la contropartita è poter passare del tempo così piacevolmente con una persona speciale come Rachel posso mettermi di impegno e imparare.

V: Questo è il tuo primo romanzo, ma alle spalle hai una lunga esperienza come scrittrice di drammi per la radio. Come è stato il passaggio dalle sceneggiature radiofoniche al romanzo, come hai affrontato questa sfida?

R: L’ho veramente amato. Per la radio scrivevo storie che si sviluppano necessariamente attraverso il dialogo, grazie a quello che i personaggi dicono o non dicono l’uno all’altro, utilizzando parole estremamente semplici per esprimere concetti e intrecci anche molto complessi. È stato molto interessante per me in questo romanzo poter anche esplorare cosa succede dentro le loro teste, osservare come si muovono, i loro gesti, uscire dalla finestra e entrare nel paesaggio, spingermi nel loro passato. Avevo a disposizione così tanti strumenti per raccontare la storia: è stato veramente liberatorio.

V: Già che abbiamo accennato al dialogo, mi sembra che in questo libro sia proprio uno dei temi chiave, o meglio: lo è la sua mancanza. Ci sono tante qualità diverse di silenzio tra i personaggi.

R: Sì, vedi: mi commuove pensare alla solitudine. Succedono molte cose alle persone quando sono sole, quando vengono meno le distrazioni. Il silenzio ha a che fare anche con questo. Il silenzio di Harold, in particolare, è un silenzio attivo: è il silenzio in cui può sentire il suono dei suoi passi uno dopo l’altro, quando vede cose nuove. È un silenzio che gli permette di sbloccare qualcosa nella sua mente, nei suoi ricordi, è un silenzio che libera qualcosa. Poi invece c’è il silenzio di Maureen, che è un silenzio ostinato e colmo di dolore: attraverso il suo silenzio Maureen è costretta ad affrontare il proprio passato e vederlo sotto una nuova luce. Ovviamente la sua storia è più sussurrata, più nascosta, rispetto a quella di Harold, ma proprio per questo la trovo ancora più commovente: Maureen non ha nulla di nuovo o di eccitante da affrontare, può solo guardare a quello che ha sotto i proprio occhi nella sua casa, e la sua è un’avventura molto più intima ma non per questo meno coraggiosa.

V: Ti confesso che ho amato molto il personaggio di Maureen, fin dalla sua prima apparizione: è delineata così bene che si immagina immediatamente che tipo di persona sia, salvo poi lasciarsi stupire nel corso del libro.

R: Sono sicura che molte persone leggendo il libro non prenderanno subito in simpatia Maureen. Soprattutto all’inizio è un personaggio abbastanza ostico, ma è stato molto bello per me vedere la sua evoluzione nello svolgimento della storia, e come man mano scopriamo cose su di lei che ci aiutano a capire perché sia diventata la donna che è.

V: Infatti, quello che mi piace è come nel tuo romanzo un po’ tutti i personaggi siano a modo loro degli eroi. Eroi molto ordinari e tranquilli, a parte il gesto eclatante di Harold. Ad esempio un personaggio che svolge un ruolo chiave è il vicino di casa. Parlami un po’ di lui.

R: Rex è esattamente il prototipo della persona ordinaria, quasi banale: cura il proprio giardino e cerca di superare il dolore per la perdita della moglie. Nessuno lo immaginerebbe come un eroe, invece rivela un animo generoso e un’attenzione così delicata da diventare una sorta di deus ex machina per Maureen. È lui che la ascolta, la capisce e la sostiene, nella sua normalità e nel suo modo molto semplice di porsi.

V: A proposito di persone ordinarie: una cosa che mi ha colpito molto è che più volte alcuni atteggiamenti di Harold vengono definiti “troppo inglesi”. Cosa significa, in che senso si può essere “troppo inglese”?

R: Quando ho scritto il libro non immaginavo che sarebbe stato tradotto e che sarebbe stato letto anche all’estero, e di dover spiegare questo punto (ride). Quello che intendo dire è che Harold appartiene a una generazione, la stessa di mio padre, in cui spesso ho riscontrato un senso di difficoltà nell’essere a proprio agio al centro dell’attenzione, una sorta di timidezza. Tutti gli altri sono più colorati, fanno cose più interessanti, hanno vite più emozionanti, mentre gli uomini come Harold si sentono a disagio e si ritirano in disparte. Credo che sia una caratteristica tipica degli inglesi di quella generazione: cercare di non dare fastidio a nessuno, preoccuparsi per prima cosa di non offendere gli altri, di non causare intralcio o imbarazzo.

V: Ora vorrei chiederti qualcosa di più invece riguardo agli altri due personaggi fondamentali, i due grandi assenti: Queenie e David.

R: Come per il silenzio di Harold, anche la loro assenza è un’assenza attiva. Credo che tutti abbiamo provato la sensazione di un’assenza che diventa a suo modo una presenza, soprattutto quando perdiamo qualcuno che amiamo e non riusciamo a lasciarlo andare, a superare la mancanza. Le assenze di Queenie e David sono legate in qualche modo, sia nel passato e quindi nel ricordo, sia perché mentre Queenie piano piano svanisce David in qualche modo ritorna. Pur essendo due personaggi agli antipodi: lei piena di premure e generosa, lui tormentato e scostante. Però sì, è vero: anche se compaiono molto poco di persona sono presenti durante tutta la narrazione, soprattutto attraverso i ricordi e i pensieri degli altri personaggi.

V: Infatti anche i ricordi sono un ingrediente fondamentale di questa storia: cosa succede con i ricordi?

R: I ricordi sono importanti, ed è importante vedere come spesso le cose vengano distorte nel ricordo. È come se noi fossimo i padroni di diritto di quel ricordo particolare, e quindi mettessimo noi stessi al centro del quadro, dando risalto agli elementi importanti per noi. E piano piano questo inquina il ricordo, che viene manipolato e filtrato, e non corrisponde più alla realtà. E così quando confrontiamo i nostri ricordi di un particolare avvenimento con quelli di qualcun altro a volte scopriamo che le cose non stanno esattamente come ce le siamo volute raccontare, come ci siamo abituati a pensarle.

1 Comment on Rachel Joyce, i dialoghi e i silenzi

  1. bella, invece. anche se non sarà il tuo mestiere. e non vedo l’ora di leggere il libro. (mi sono un po’ commosso anche io nel leggere, cmq)

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