Queste oscure materie

Ditemi fantasy e ditemi saga: io impazzisco. Quando su twitter mi hanno suggerito di leggere la trilogia “Queste oscure materie” di Philip Pullman però ho avuto un momento di esitazione. Sono rimasta scottata dalla clamorosa sòla de “Le cronache di Narnia”, così scottata che non solo non ho finito il primo libro al grido di “ma cos’è questa schifezza, ma veramente lo fate leggere ai bambini?” ma ho iniziato a covare una certa diffidenza per tutte le saghe pensate per i giovani lettori.
E invece mi sbagliavo.
Quella nascosta parte del mio cervellino in cui ho racchiuso i miei lontani studi di filosofia della scienza si è risvegliata scodinzolando già alle prime pagine, e mi sono attaccata a questa storia con tutte le mie forze. In questi tre libri c’è tutto. A partire dall’autore, perché Pullman è uno che sa come si racconta una storia, e il primo capitolo è una tenaglia che ti acchiappa e non ti molla. C’è la crescita dell’eroe (o degli eroi), c’è il percorso, c’è la lotta tra il bene e il male, ci sono personaggi da cui è impossibile staccarsi. Però. Tutto è stratificato in più livelli di lettura che se da un lato lo rendono perfetto per i bambini, per un lettore adulto schiudono dei significati filosofici complessi e avvincenti. Non c’è solo il bene e il male: la storia è una lotta tra due diverse concezioni del mondo, la scienza e la religione, anche se in entrambi i casi i “metodi” si mescolano. Quindi abbiamo una Chiesa che compie esperimenti empirici, e un’accademia organizzata in gerarchie statiche e quasi ieratiche. C’è il dogma contro la libertà, il bene e il male sono equamente ripartiti tra le due fazioni. Ma il motore di tutta l’azione è l’anelito verso la conoscenza: da parte di Lyra, la piccola protagonista, e da parte delle forze che muovono il suo mondo. Arrivare a definire cosa sia “la polvere”, una misteriosa sostanza che inizia ad accumularsi attorno ai bambini quando diventano adolescenti e che ha poteri ignoti da indagare. E poi c’è una bellissima narrazione orizzontale sul significato dell’anima: i daimon, piccoli animali compagni di vita degli umani da cui sono ineparabili e che prendono la loro forma definitiva solo con l’arrivo dell’età adulta. Oppure la corazza di metallo stellare degli orsi corazzati, e la dolorosa disperata ricerca di Yorek Byrnison della propria armatura perduta. E Serafina Pekkala con le anime uccello delle streghe, che è di per sé un trattato sulla liberazione femminile e sull’indipendenza individuale, sociale, politica. Oppure la meravigliosa parentesi sui Mulefa, animali straordinari, che unisce antropologia e teorie del linguaggio: e di nuovo il linguaggio è legato alla “polvere” e ai riti di passaggio, quindi raccogliamo ancora più indizi per ricostruire un sistema filosofico completo sulla ricerca del senso del concetto di autocoscienza.
E poi ci sono i gitani, gli spettri, paesaggi artici e deserti, genitori perduti, relazioni e emozioni. E più di un momento nella storia in cui si sente viva e presente la disperazione, e poi il sollievo, e poi la paura. L’ingiustizia che sia una piccola bambina a dover salvare il mondo (anzi, i mondi). La sensazione che tutti abbiano torto e tutti abbiano ragione, e che tutti alla fine perdano, ma il mondo è salvo quindi allo stesso modo tutti hanno vinto. E quando finisce il terzo libro resta un senso di infinita nostalgia. Per la storia che è finita (o per noi stessi da piccoli, o per i nostri daimon ignorati e maltrattati?).

Leggetelo. E fatelo leggere a tutti i bambini al posto di quella porcata di Narnia.

Rispondi

UA-83207466-1