Il ladro di nebbia

“Mi sono sempre chiesto come possa un uomo convivere con il fantasma di tutto ciò che è stato e con lo spettro di ciò che non sarà mai. Non può, ecco perché muore. Noi non invecchiamo a forza di vivere la vita, ma a furia di ricordarla.”
Dove finiscono le cose dimenticate? Gli ombrelli dimenticati sul treno, all’ufficio oggetti smarriti della stazione. Ma i ricordi dimenticati? Dove si depositano? E se ricordare è troppo doloroso, è possibile disfarsi della propria memoria firmando un patto, lasciando in deposito i propri ricordi?
Esiste un luogo nascosto in cui tutta la vita perduta e tutte le anime dimenticate si ritrovano. È una città bizzarra, fatta di porte concatenate che si aprono su diversi mondi e diversi gradi di oblio e decadenza. L’unica cosa che conta è il tempo. E infatti è proprio a causa del tempo che ha senso ricordare: il tempo scorre, e consuma la vita, e stinge la memoria. Il tempo è l’unica forma di moneta di scambio che abbia un valore, soprattutto per chi sta ripercorrendo le strane e tortuose strade di Tirnaìl alla ricerca di un ricordo che possa dare un senso alla propria vita.
Un libro in cui ci si perde. Si perde l’orientamento nel tempo ma anche nello spazio. Ci si perde come nella nebbia, che deforma i confini dei posti conosciuti, falsa le distanze e inganna le profondità. Ci si perde come in una città misteriosa, familiare nelle sue atmosfere ma fuori posto e fuori luogo, vie che non dovrebbero esserci e palazzi che cambiano aspetto e identità. Ci si perde anche nel volerlo definire: è un thriller surreale, un fantasy mistico, un romanzo d’amore disperato? Sicuramente è un libro che assorbe, sia per la storia che accalappia l’attenzione, sia per i personaggi disegnati con cura e amore tanto da sembrare usciti da un dipinto, sia per lo stile e la scrittura.
Un esordio clamoroso: Lavinia Petti è un genio.
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