È così che si uccide

zilahyMi domando perché ci si affezioni così tanto ai “detective”. Forse perché sono coraggiosi, anche quando mostrano il proprio animo addolorato. Forse banalmente perché vorremmo essere come loro: lucidi e intelligenti oltre ogni addoloramento d’animo. O magari perché conducono una vita così pericolosa che sapendo che potrebbero restarci secchi da un momento all’altro ci fa tenere il fiato in sospeso per loro. Perché vederli sempre così vicini alla morte ce li fa istintivamente tenere anche vicini al cuore. Resta il fatto che sono sempre più convinta che le serie siano nate per permetterci di non staccarci dal nostro personaggio preferito: le serie nascono per tenere in vita i “detective”. Ce n’è tutta una famiglia: Sherlock Holmes e Poirot, Duca Lamberti, Montalbano fino a Alice Allevi e da oggi anche Enrico Mancini ne fa parte, tra i suoi nuovi membri acquisiti. Mi è impossibile infatti pensare che non ci sarà una nuova indagine per il commissario, profiler romano specializzato a Quantico, e per la sua squadra – con Cate pronta per diventare parte della scientifica, il professor Biga, il cinismo nerd di Rocchi e il sorriso buono di Walter.

Non riesco a immaginare che non ci sia un seguito perché il Commissario Mancini non è un eroe che combatte contro il crimine. Enrico Mancini è un professionista, ma i suoi nemici non sono i serial killer: quelli sono degli enigmi che lui è più bravo di altri a risolvere. I nemici di Mancini sono la mediocrità e la burocrazia, campi in cui il suo superiore Gugliotti invece prospera. Mancini non lavora per sconfiggere l’ingiustizia e la malvagità. Lavora perché è costretto, così come è costretto a fare i conti con il proprio dolore, con l’ingiustizia e la malvagità che gli hanno strappato quello che aveva di più caro. Per questo non può non esserci un seguito. E perché non voglio credere che non rileggerò più di Roma così come la racconta Zilahy. Tra i relitti del suo passato, mastodonti di pietra e di acciaio, cattedrali abbandonate che creano interstizi tra cui le persone si infilano e si perdono. E quando vengono ritrovate, beh: non sono in buono stato. Una Roma piovosa, ammuffita, che puzza di acqua marcia, che vale la pena di leggere anche solo per gioire di quanto è bravo Zilahy a tirare fuori con poche parole gli odori dalle pagine. Altro che il profumo della carta.

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