La dea delle piccole vittorie

La storia è quella di Adele, moglie di Kurt Gödel, e del suo incontro con Anna, la giovane bibliotecaria incaricata di contattare l’anziana donna per ottenere il lascito di carte e studi di quello che è considerato come uno dei più importanti logici e matematici della storia.
Lasciamo perdere per un momento il titolo, il sottotitolo e la copertina leziosa. Questo libro è bellissimo. La sua storia è bellissima. È scritto incredibilmente bene. Poi magari qualcuno preferisce la saggistica, la biografia scientifica, gli epistolari ragionati e commentati, la verità, e io sono sicura che sia quello il modo migliore per conoscere la Storia di una persona così importante. Però oltre alla Storia esiste la storia: quotidiana, personale, che non lascia grandi tracce pubblicamente e che può essere ricostruita solo in modo letterario. Con delicatezza, certo (e qui non manca). Con invenzione. Con un continuo equilibrismo tra reale, vero, probabile e verosimile. E in questa storia entrano altri personaggi, che normalmente la Storia relegherebbe sullo sfondo. E quindi Adele, il suo passato da ballerina, le sue lotte con la suocera, la battaglia per tenere insieme il mondo mentre il mondo cade a pezzi. La cura che ha per Kurt, il suo porsi com un’àncora per tenerlo agganciato all’imperfetto reale, la pazienza con cui lo sprona a mangiare, la timidezza con cui accarezza il suo lavoro, la frustrazione e la rabbia compensate da un’infinita devozione e una tenerezza costante. Gli intrecci tra intimità ed esclusione che sono la trama di ogni relazione, amplificati dalla portata distruttiva della mente di Gödel, dalle contingenze storiche disastrose e dalle frequentazioni con altri intellettuali e scienziati. Due enormi solitudini che si fanno compagnia.
Forse i dialoghi non erano proprio quelli, forse le cose non sono andate precisamente così. Ma un dettaglio vale l’altro, non importa se sono inventati o sostituiti nel ricordo. Quello che importa, e che questo libro fa meravigliosamente, è recuperare una storia, riportandola alla sua dimensione umana, e come un’àncora agganciarla all’imperfetto reale.
Cinque su cinque.
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