Colpa delle stelle

Ho aperto “Colpa delle stelle” un pomeriggio con il pregiudizio sciocco di credere di concedermi una lettura facile, riposante, da ragazzini. L’ho richiuso a notte fonda, con il cuore a pezzi e la maglietta inzuppata di lacrime. In mezzo ho mangiato dei cracker e strapazzato di coccole i gatti.
Questo non è un libro, è un tritacarne. E non è semplice, non ha nulla a che vedere con la semplicità. È un libro difficile, doloroso, disarmante. Tutte le cose belle e tutte le cose brutte del mondo sono concentrate nei pochi mesi della vicenda e nei pochi anni dei protagonisti, e nelle poche ore che ci vogliono a leggerlo e a farsi scavare un buco in fondo alla pancia, un buco in cui poi si sente sprofondare il cuore e poi niente. Per un po’ non è il caso di parlare con nessuno, si resta di nuovo soli con il ricordo di qualcuno. Si piange un po’. Ci si fa una tisana. E poi si va avanti.
Cinque qualunquecosa su cinque.

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“Mi sono innamorata così come ci si addormenta: piano piano, e poi tutto in una volta.”

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