Dio di illusioni

“Ma come puoi giustificare” aveva ribattuto Charles, quasi piangendo “un assassinio a sangue freddo?”. Henry, dopo aver acceso una sigaretta, aveva risposto: “Preferisco pensare a ciò come a una ridistribuzione di materia”.
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“Dio di illusioni” è uno di quei romanzi di formazione che spinge parecchio sul tasto della crudeltà. Nonostante l’atmosfera polverosa e decadente i suoi personaggi sono vivi in un modo impressionante. Vivi e crudeli, e queste due condizioni sono l’asse su cui si manifestano i diversi gradi del loro smarrimento. È un libro ricco di rimandi e richiami, che fa venire voglia di tornare a prendere in mano tutti i libri del liceo e pensare con nostalgia a quando imparare cose nuove era l’unico impegno che veniva richiesto. La fiducia nella figura del professore-mentore, la paura di deluderne le aspettative, la fascinazione per il sapere che diventa la chiave per uno stile di vita incentrato solo sulla bellezza e sui valori più alti. Credere che quello che non si conosce o che non si può capire sia “meglio”, e da qui il costante pericolo di scivolare nella perdizione. L’incapacità di gestire la propria vita unita alla convinzione che la realtà si possa modellare secondo un qualche principio estetico alto. Meraviglioso e terrificante, quattro pallini di inquietudine su cinque.
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photo credit: Stuck in Customs via photopin cc
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