L’abisso

Quando ho bisogno di consolazione mi basta pensare che Morozzi scrive molto più velocemente di quanto io legga, e che quindi ho scorte per anni e anni a venire di cose sue da leggere lì pronte ad aspettarmi.
L’abisso è quello che conosciamo tutti: una voragine spaventosa in cui sguazzano tutte le nostre ansie, le responsabilità mai prese, le vigliaccherie, le giustificazioni. E ovviamente arriva il momento in cui bisogna guardarci dentro, e prevedibilmente l’abisso guarderà dentro di noi, e alla fine niente. Un respirone e via. Non c’è un modo elegante per uscirne ma se ne esce, in qualche modo. In questo piccolo romanzo Gabriele, figlio perfetto, bambino prodigio, studente modello, affronta il suo abisso per qualche ora. E noi gli teniamo la mano, anche se è un personaggio disgustoso, anche se è giusto disprezzarlo, perché un pochino è impossibile non identificarsi. Se non altro per questo oscillare tra autocommiserazione e disgusto per se stessi che prima o poi culla ogni persona sana. Nell’arco di una notte entriamo nella vita di Gabriele quel tanto che basta da essere felici di non essere al suo posto, anche se inevitabilmente ci mettiamo un po’ al suo posto e in qualche modo ripensiamo al nostro personale abisso, a come ne siamo usciti, se ne siamo usciti.
Ah, fa anche ridere.
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