La musica delle galassie

Per un tempo lunghissimo la musica non è stata considerata un’arte ma una scienza.
Nel medioevo faceva parte delle “arti del quadrivio” che includevano anche aritmetica, geometria e astronomia e costituivano le discipline della formazione scientifica più alta. In realtà il legame tra queste quattro discipline è ancora più antico e risale addirittura a Pitagora che per primo ha sviluppato il concetto di “musica delle sfere”: in un universo perfettamente regolato da proporzioni numeriche ogni cosa è connessa secondo delle relazioni matematiche che esprimono qualità attraverso i numeri, le forme e i suoni. Pitagora in particolare sosteneva che ognuno dei pianeti, a causa della rotazione, producesse un suono specifico, e che la sovrapposizione di questi suoni generasse una meravigliosa armonia impercettibile all’orecchio umano.
La relazione matematica tra suoni e numeri è stata poi studiata con attenzione con i primi esperimenti di fisica acustica, in cui venivano misurate le proporzioni tra l’altezza dei suoni e la lunghezza delle corde degli strumenti con cui venivano prodotti, quindi secondo il principio “come in alto, così in basso” era del tutto lecito attribuire una specifica frequenza a ciascuno dei pianeti conosciuti e il cosmo si configurava come una scala musicale.
Poi la filosofia e la scienza si sono evolute procedendo per altre strade e altri percorsi, finché due ricercatori dell’università di Glasgow e di Harvard, Wanda Diaz-Merced e Gerhard Sonnert, hanno pensato di utilizzare un programma creato dalla NASA per tradurre le radiazioni elettromagnetiche provenienti dalle stelle in suoni.
E’ possibile ascoltare la musica proveniente dallo spazio collegandosi al sito Star Songs.
Prima di questa scoperta invece per me la musica delle galassie si identificava con alcune composizioni di Mahler, come ad esempio l’inizio della prima sinfonia: una lunga nota acuta proveniente dalle solitudini siderali, attorno a cui poi si sviluppano un turbine di movimenti e di esplosioni di luce, mentre lei resta lì, fissa, come una stella polare, immobile e splendente.
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