Il coraggio è un muscolo

Non ho mai pensato di essere una persona coraggiosa finché ho capito che il coraggio non è una qualità innata, di quelle che o ce l’hai o non ce l’hai. Il coraggio è un muscolo, che prende forza e elasticità con l’allenamento.
C’è stato un momento ben preciso in cui ho sentito di non essere nata coraggiosa ma di esserlo finalmente diventata: il 22 aprile 1994, una data spartiacque per un sacco di cose, ma principalmente per questa. Quel giorno ho scoperto che la paura si trasforma attraverso un processo alchemico in tensione, poi slancio, e poi felicità pura. Da quel giorno ho cercato di fare il più possibile e ad ogni occasione quello che più mi terrorizzava e più mi dava gioia al mondo: salire su un palco. Per tanti, tantissimi anni ho costruito il mio coraggio sullo studio, sulla preparazione, sulla concentrazione. Lunghissimi anni di conservatorio, e poi furiosi anni di perfezionamento. Concerti, concorsi, esibizioni. La paura non mi ha mai abbandonata. Il terrore che manda in black out ogni logica in quei minuti dilatati e pesanti dietro le quinte. Il cuore che batte, le gambe molli, la sensazione di svenimento. Il cuore che batte ancora più forte, le gambe che si muovono da sole, i sensi che se ne vanno e mi lasciano sola con una certezza: sono pronta, ho studiato, sto bene. E poi la musica: pensiero che diventa gesto, gesto che è già suono. Memoria fisica del movimento e memoria intellettuale di supervisione e controllo: niente è lasciato al caso, tutti gli anni fatti da tutti i mesi e tutti i giorni fatti da tutte le ore di studio e attenzione servono ad arrivare esattamente qui, esattamente a questo momento di pura gioia e esaltazione. Pochissimi istanti di silenzio sospeso mentre l’ultima nota vibra a scomparire e poi l’applauso.
Il mio coraggio sul palco è stato per anni frutto di consapevolezza e controllo. Paura che attraverso la preparazione maniacale arrivava a mettere a nudo il nocciolo lucido e puro dell’intento, sbucciandomi come una susina per rimanere senza pelle e senza polpa davanti a tutti: solo quello che conta.
E poi ho smesso.
E poi ho ricominciato, dalla parte opposta.
Domenica sono salita di nuovo su un palco. Dietro alle quinte non ero sola, questa volta. Non ero concentrata per raggiungere il mio punto più profondo come unico appiglio sicuro. C’erano con me i miei compagni di avventura: mani calde e sudate a stringersi le une alle altre, sorrisi tesi, occhi al cielo. Ad aspettarmi sul palco non c’era nessuno certezza, nessuna preparazione: solo la consapevolezza che qualunque cosa fosse successa avrei potuto contare sui miei compagni e sul linguaggio condiviso con cui stiamo imparando a esprimerci.
Per me quest’anno di improvvisazione teatrale è stato anche questo: trovare le risorse per sconfiggere la paura non nella perfezione della propria preparazione ma nella fiducia negli altri. Spezzare le dinamiche precostituite per trovare altri spazi, altri mondi. Sbrigliare la fantasia, legandoci poche regole in vita come se fossero una corda di sicurezza e non pensare. Sentire gli impulsi, seguire il corpo e il suo istinto, e da lì trovare una storia da raccontarsi. Siamo saliti sul palco con gli occhi abbacinati dalle luci e mille interrogativi. Nel momento in cui la paura è diventata solo un altro elemento con cui palleggiare e da cui spremere succhi di divertimento non abbiamo trovato nessuna risposta, ma abbiamo trovato il coraggio.
L’immagine qui sopra l’ho rubata dal profilo facebook di Riccardo, probabilmente la prima persona da cui ho sentito parlare di impro. Ma il mio grazie va anche a Danilo, che mi ha fatto capire il senso del possibile, a Fabio per la sua guida sensibile e accurata, a tutti i miei compagni di corso (e un pezzettino di più a Cristina, Francesco e Francesco) a tutta quella meravigliosa fauna che ho incontrato al WIP e agli spettacoli, e un cuore grosso così a Teatribù che è veramente una tribù, con il suo linguaggio condiviso, con i suoi valori, le sue iniziazioni, il suo sistema di funzionamento e riferimento: più larga di una famiglia ma più stretta di una setta. Grazie.
Aggiornamento: è record! Grazie a Luca ora so che l’immagine proviene da qui.
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