Cose che anche se non si trovano le parole è uguale e forse pure meglio
Bach suonato da Gould mi terrorizza.
Ascoltare queste incisioni è una delle esperienze più terrificanti che io possa immaginare di fare.
È come prendere la bellezza, smontarla, toglierle la pelle e la carne e le ossa strato dopo strato, ma senza sporcarsi nemmeno un po’ di sangue, e guardare come è fatta da dentro.
Fa impressione, non riesci a smettere, e vorresti perché quando è troppo è troppo, ma non puoi.
È come guardare un meraviglioso panorama appesi a testa in giù su uno strapiombo di un chilometro.
È come essere chiusi in uno scafandro sul fondo dell’oceano e sentire che intorno, nel buio più profondo, ci sono pesci intelligentissimi che vivono tranquillamente senza di te, e ti sfiorano con le pinne ma non puoi vederli. Sai che sono lì, e non ci puoi fare niente, e non li capisci nemmeno. E loro beati ti ignorano. E tu nemmeno saprai mai che colori hanno, o che forme.
È come venire dai neuroni.
È come piangere sotto anestesia: non senti niente, ti trovi tutte le guance bagnate e non sai perché, non capisci dove ti fa male, in realtà non sembra nemmeno che faccia male eppure deve essere così, altrimenti non piangeresti.
È come guardare la struttura matematica delle emozioni, è la solitudine immensa dell’amore puro.
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