A Sant’Ambrogio si fa l’albero

“Mamma, facciamo l’albero! facciamo l’albero!”
“Non è ancora Sant’Ambrogio”
A casa mia l’albero di Natale si è sempre preparato il giorno di Sant’Ambrogio, patrono di Milano, 7 Dicembre, in concomitanza con la prima della Scala, il freddo vero da doversi mettere i guanti e il piccolo respiro di riposo dal lavoro tanto convenientemente adiacente ad un’altra giornata di festa nazionale.

Da quando vivo da sola non ho più fatto l’albero, e da qualche anno non lo preparano più nemmeno i miei genitori. Loro decorano il soggiorno con le lucine, io aggancio qualche pallina al mio ficus spelacchiato che poi regolarmente lascio appesa ad arrugginirsi fino a primavera.

Però mi è rimasto lo spartiacque mentale per cui il giorno di Sant’Ambrogio demarca l’inizio del periodo delle feste. E per celebrare la mia amatissima città ripesco il contibuto che avevo scritto per “My own private Milano”, che è scaricabile in tutta la sua completezza cliccando sull’immagine qui sotto, giusto in caso ve lo foste perso.

Ed è il mio modo di mettere le lucine sull’albero della internette in attesa che arrivi il pacchettino del PSLA.

I platani sono alberi grossi, possenti. Anche se spesso li potano in modo strano, amputando tutti i rami e lasciando solo il tronco e qualche ciuffo di foglie si capisce che sono alberi imponenti. I platani sono diventati alberi crudeli da quando abbiamo deciso di piantarli sul ciglio delle strade e amputargli i rami.
Dicono che ci sono sempre fiori freschi vicino alla tua foto. Dicono che hanno attaccato messaggi con le puntine da disegno  al fusto maculato del platano. Dicono che Luca lo si vede spesso là, sul ciglio della strada e che ancora non ha smesso di piangere. Luca dice che non smetterà mai di piangere, tutti sappiamo che non è così ma lo lasciamo fare.
Io preferisco venire qui, al parco. Non mi manchi sai? Davvero. Solo certi giorni, in certi momenti. Però no, io non sento il bisogno di tornare là, di appoggiarmi a quel paltano. Quando succede che ho voglia di pensarti un po’ vengo qui. Lontano dalla strada, nel parco: le robinie, gli aceri, il frassino malandato e i pioppi, il carpino sono alberi gentili. Disegnano dei ricami coi rami spogli contro il cielo in inverno. E quando iniziano a gemmare sembrano tentacoli alieni disegnati a china. E poi quando come ora sono carichi di foglie e pollini e linfa e cala la sera e tutto diventa silenzioso in un momento io continuo a non piangere. Però mi viene da sdraiarmi per terra. Guardo in su, e non c’è il tuo grembo a cui appoggiare la testa. Guardo in giù, e non c’è la custodia vuota della chitarra da cui esce il pacchetto di cartine. Mi rialzo, che tanto è uguale, tanto è tutto uguale e non cambierà più. Ti mando un bacio col pensiero. Magari stasera lo chiamo, Luca, gli racconto qualcosa per distrarsi, una filastrocca da bambini, una ninnananna mentre piange. Guarda in su, guarda in giù, dai un bacio a chi vuoi tu.

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